Il contesto

La Repubblica Democratica del Congo è stato dominio personale del Re Leopoldo II del Belgio, poi colonia belga e infine, dopo la breve parentesi iniziata nel 1960 con l’indipendenza e finita con l’assassinio di Lumumba, una sorta di non-Stato (stateless), che Mobutu dichiarava sua proprietà. 

Oggi è un gigante malato, ma anche uno dei paesi strategicamente più importanti di tutta l’Africa. Secondo i dati della Banca Mondiale, due terzi della popolazione vive sotto il livello di povertàEppure, il Congo sarebbe straordinariamente ricco. In particolare di materie prime: oro, diamanti, rame, legno… Il coltan ad esempio è un minerale indispensabile all’industria elettronica e militare, il cobalto nel processo di produzione delle batterie. Il Congo ha l’80% delle riserve mondiali di coltan e il 50% di quelli di cobalto, in particolare concentrate nella regione del Kivu, dove si è consumata una delle tragedie più immani della storia contemporanea, quella che è stata chiamata la terza guerra mondiale, con i suoi cinque milioni di morti e una migrazione imponente verso le città, in particolare a Kinshasa, che è diventata uno sterminato e incontrollabile agglomerato di case informali a ridosso di un centro perennemente intasato da un traffico inverosimile. 

La povertà, le guerre, le malattie, unitamente a una concezione dell’atto sessuale piuttosto libera, a una condizione di estrema sottomissione della donna, e infine all’ignoranza degli strumenti di controllo delle nascite, portano quella del Congo a essere una popolazione molto giovane e insieme molto vulnerabile. Laddove la vulnerabilità e la povertà, come sempre, sono costi pagati da chi è più debole tra i deboli, e cioè dai minori delle fasce sociali più basse. Inoltre, con il fenomeno dell’inurbamento dalle campagne è venuta meno una possibile tradizionale risposta all’abbandono, che è il sostegno tra generazioni. Chi accoglieva un minore nella propria famiglia lo faceva chiedendo in cambio di opportunità la promessa di una funzione sociale ben precisa: il bambino sarebbe diventato un supplente dell’intervento assistenziale dello Stato nei confronti dell’adulto negli anni della vecchiaia.